Una delle regioni con la più grande produzione di ortaggi: ben venti milioni di quintali all’anno, coltivate con criteri di autentica genuinità. E poi le verdure selvatiche eduli, tanto più saporite quanto nascoste e poco conosciute.
Le cime di rapa

La cima di rapa è un ortaggio che più di qualunque altro caratterizza la produzione ortofrutticola della Puglia, con 3.500 ettari di coltivazione essa produce un terzo del prodotto italiano.
Della pianta si mangiano li infiorescenze insieme alle foglie più piccole. tenere.
Viene consumata cotta e rappresenta l’ingrediente principale di numerosi piatti tipici della cucina regionale tra cui le famose “orecchiette alle cime di rapa“, le “rape stufate col peperoncino”, “fave e rape”, “rape e salsiccia”.
La cipolla di Acquaviva

Famosa per la sua dolcezza, la cipolla rossa d Acquviva delle Fonti è un Presidio Slow Food ed è riconoscibile per la tipica forma appiattita e per la sua colorazione rosso/violaceo: un grosso disco dello spessore di 6-7 centimetri, con un peso che raggiunge i 500 grammi. Il suo colore tra il rosso carminio e il violaceo si schiarisce verso l’interno, sino a divenire completamente bianca. La coltivazione avviene nel rispetto della tradizione antica e in modo del tutto naturale.
La cipolla rossa di Acquaviva viene celebrata ogni anno durante il mese di luglio in una manifestazione denominata “Festa della cipolla rossa di Acquaviva”.
I lambascioni

Il termine lambascione o lampagione ci riferisce lo storico della cucina Luigi Sada, nel suo ricettario “Cucina pugliese alla poverella” del 1991, risale al periodo medioevale (lampadio,-onis), ma, come sottolinea lo studioso, non è corretto usare la sua denominazione più “italiana” lampascione bensì, appunto, quella dialettale pugliese, lambascione, che meglio lo individua tradizionalmente e storicamente..: «(…) si chiama lambascione con la b come “babbeo”!
E’ tipico della zona Murgiana, ricco di sali minerali e cresce a 12-20 cm., molto simile ad una cipollina molto amara, i bulbi vanno cucinati interi, ma dopo averli intaccati nella parte inferiore a croce.
I lambascioni (si consuma il bulbo della pianta) possono essere bolliti in acqua e aceto (una parte di acqua e una di aceto) con l’aggiunta di circa due pugni di sale grosso per 5 litri d’acqua. Una volta raffreddati potranno essere posti in olio di oliva con l’aggiunta di aromi quali aglio, origano e peperoncino.
Le carote di Polignano

Altro Presidio Slow Food di Puglia è la carota di Polignano (detta anche “carota giallo-viola di Polignano” oppure “carota di San Vito” per la ristretta zona nella quale viene coltivata., Dal confronto dei tre principali zuccheri presenti, glucosio, fruttosio e saccarosio, è stato osservato che le carote di Polignano mostrano un contenuto totale di essi mediamente inferiore di circa il 22% rispetto alla carota comune.. Quindi il più basso apporto glucidico delle carote di Polignano potrebbe favorire il loro consumo da parte di soggetti che seguono una dieta ipoglicemica
Gli sponsali

Gli sponsali sono delle cipolle lunghe a bulbo, conosciute anche con il nome di “cipolle porraie”: si tratta di una coltivazione di nicchia che in Puglia trova uno dei terreni più adatta alla crescita.
A differenza delle cipolle classiche, che pure rivestono una certa importanza nelle coltivazioni pugliesi, gli sponsali si ottengono dal piantamento di bulbi durante il periodo estivo. I semi vengono prodotti dai getti, a partire dal secondo anno di coltivazione. Da ogni bulbo si ottengono all’incirca dai tre ai cinque sponsali.
Lo sponsale non deve assolutamente essere confuso con i porri, che li ricordano per forma.
I primi hanno un sapore sicuramente più dolce. e meno acido e quindi sono adatti ad essere protagonisti di tanti piatti della tradizione culinaria contadina pugliese, ma anche della vicina Lucania.
Il termine deriva da “sposalizio”, che a sua volta discenda da “sponsus” (promesso sposo). Sin dall’epoca romana e comunque in alcuni paesi del Sud Italia succede ancora oggi, si celebravano gli “sponsalia”, cerimonie in cui i futuri sposi festeggiavano la loro promessa di matrimonio che sarebbe stato celebrato, in seguito, anche “giuridicamente” secondo i riti previsti.
Durante quest’occasione si era soliti preparare e servire agli ospiti presenti la pizza ripiena appunto di sponsali: il mitico Calzone Pugliese.
Le fave

I pugliesi nei secoli hanno fatto di questa leguminosa, la regina delle loro tavole, soprattutto quelle più povere, perché riusciva a dare sostanza alla loro parca mensa.
Esse sono foriere dei primi caldi dell’anno, quando la primavera fa la sua comparsa sui freddi altopiani della Murgia. Meravigliose per la loro freschezza e croccantezza, una vera delizia consumate con un buon pecorino da tavola.
La cottura delle fave, quelle che vengono seccate per essere consumate tutto l’anno, è una vera poesia: ritmi lenti, pazienza e l’utilizzo della pignatta di ci creta.