L’intera Puglia è terra di passaggio di venti e di nuvole che galoppano tra mare e mare.
La vite, l’olivo e il mandorlo sono le piante della Puglia, e anche la sua principale ricchezza.

Una terra ricca di grandi materie prime
La cucina pugliese si caratterizza soprattutto per il rilievo dato alla materia prima, sia di terra che di mare, ma anche ricca di ortaggi e verdure di stagione, dalla cima di rapa al cavolo verde, al cardo, ai peperoni, alle melanzane, ai carciofi, tutti i legumi, dai fagioli alle lenticchie alle cicerchie e alle fave, e tutti i prodotti del mare, in particolare dell’Adriatico.

Ricette diventate leggendarie
Tante sono le ricette che presenta questa cucina, che ha poi una particolarità che la distingue dalle altre, di offrire piatti diversi in relazione alle diverse stagioni, così che durante le stagioni più miti, cioè in primavera e in estate, viene data preferenza alle verdure e al pesce, mentre nelle altre predominano i legumi, la pasta fatta in casa condita con vari sughi, da sola o combinata alle verdure o al pesce.
Elenchiamo qui solo di alcuni prodotti che indiscutibilmente caratterizzano più di altri la cucina pugliese.
L’oro di Puglia

Non dimenticherò mai le parole dei tanti amici chef che invitati da me in Puglia, durante il tragitto che ci portava dall’aeroporto di Bari verso la mia scuola di cucina di allora, rimanevano senza parole ad ammirare distese e distese di ulivi a perdita d’occhio.
In effetti noi pugliesi, ormai da generazioni abituati, non ci rendiamo più conto di quanti siano gli ulivi che riempiono la nostra terra, oltre 400.000 ettari di oro giallo!
La Puglia, con Andria in testa, è uno dei più grandi produttori di olio d’oliva al mondo: un raccolto di oltre 12 milioni di quintali di olive all’anno e qualcosa come 3 milioni di quintali di olio d’oliva.
Ma anche olive da tavola: La bella di Cerignola, la gigante Spagnola, la Sant’Agostino, la parola e tante altre.
Se esiste un ingrediente, del quale la cucina pugliese non può fare a meno, questo è sicuramente l’olio extravergine d’oliva!
L’orgoglio bianco di Andria

La burrata di Andria, e la sua sorella minore la stracciatella, è un formaggio di latte vaccino, a pasta filata e di forma rotondeggiante con aspetto esterno simile alla mozzarella a forma di sacca con la caratteristica chiusura apicale. Al suo interno la consistenza è invece molto più morbida: è fatta di pasta filatta stracciata a mano, stracciatella appunbto, e panna fresca.
L’invenzione della burrata è frutto della sapiente arte casearia pugliese, in particolare appunto di quella di Andria. Si tramanda oralmente che in un’antica masseria nei primi decenni del secolo scorso Lorenzo Bianchino abbia inventato la burrata di Andria. Si racconta che a causa di una forte nevicata, non potendo trasferire il latte in città, dovendo necessariamente trasformarlo e soprattutto utilizzare la panna o crema che naturalmente affiorava, seguendo il concetto di produzione delle mantéche (involucri di pasta filata stagionata in cui è conservato il burro), provò a realizzare con lo stesso principio un prodotto fresco.
Così che, il signor Bianchino, pensò di mescolare insieme i residui della lavorazione della pasta filata con della panna ed avvolgere il tutto in un involucro fatto anche esso di pasta filata.
Ma si tratta appunto di un “goloso” racconto tramandato.
Non solo burrata

Il caciocavallo è un formaggio stagionato a pasta filata tipico dell’Italia meridionale. Prodotto con latte di vacca con l’aggiunta di solo caglio, fermenti lattici e sale, si conserva appeso a cavallo (da cui il nome) di una trave per l’essiccazione e si presenta, conseguentemente, sagomato in guisa di numero 8 con due corpi tondeggianti uniti da una strozzatura nel punto di appoggio sulla trave.
Il nome “caciocavallo” potrebbe anche derivare dall’uso di lavorare la pasta “a cavalluccio” o dal marchio di un cavallo che veniva impresso sulle forme di caciocavallo durante il Regno di Napoli. Un’altra ipotesi sull’origine della denominazione “caciocavallo” la fa derivare al periodo in cui veniva effettuata la transumanza.
In uno scritto napoletano dell’Ottocento è riportato che nei mercati cavalli e asini erano ornati di forme di caciocavallo accoppiate, anche se esistono diverse interpretazioni possibili sui motivi di quest’usanza e sulla sua rilevanza etimologica.In realtà, molti studi condotti partendo dalla constatazione dell’esistenza nei Balcani, fino dal XV secolo, di un diffusissimo formaggio di vacca chiamato Kashkaval, induce a pensare che il nome italiano e la tipologia del formaggio derivino in qualche modo dall’antenato Balcano/Ottomano.
Il capocollo di Martina Franca

Altra eccellenza di Puglia è il capocollo di Martina Franca, noto nel Regno di Napoli già a partire dal XVIII secolo.
Dopo la mondatura, il capocollo viene messo sotto sale per circa due settimane e marinato con spezie e vincotto; viene quindi insaccato in un budello naturale e legato con dello spago. L’affumicatura può essere effettuata con rami d’alloro e timo oppure con bucce di mandorla, erbe mediterranee e corteccia di fragno, un albero diffuso nei Balcani e presente in Italia solo in Puglie Basilicata.
Le cartellate!

Non si può non citare le Cartellate, tipico dolce di Natale, preparate soprattutto a Natale, nella tradizione cristianarappresenterebbero l’aureola o le fasce che avvolsero il Bambino Gesù nella culla, ma anche la corona di spine al momento della crocifissione. Dolci simili vengono prodotti anche in Calabria, dove vengono chiamati nèvole o crispelle, ed in Basilicata, dove sono chiamate rosacatarre o crispedde.
Esse vengono raffigurate la prima volta in una pittura rupestre del VI secolo a.C. rinvenuta nei pressi dell’attuale Bari in cui viene rappresentata la preparazione di un dolce assai simile chiamato la lanxsatura: il piatto colmo era offerto agli Dei secondo il culto di Cerere, di probabile origine greca e associato alle offerte fatte a Demetra, dea della terra, durante i misteri Eleusini.
Agli albori del Cristianesimo, queste frittelle rituali si sarebbero trasformate in doni alla Madonna cucinati per invocarne l’intervento sulla buona riuscita dei raccolti.
Le cartellate sono, inoltre, citate come nuvole in un resoconto del 1517, stilato in occasione del banchetto nuziale di Bona Sforza, figlia d’Isabella d’Aragona e nel 1762 in un documento redatto dalle suore benedettine di un convento di Bari.
